Sul cellulare c’era un numero sconosciuto con un prefisso inconsueto e come al solito non rispose. Ma lo squillo seguitava senza fermarsi, tanto che rimase a guardarlo in una sfida silenziosa a chi cedesse prima.
Vinse lui, perché il cellulare si spense.
Ma poi ricominciò. Era concentrato su un libro di Heisenberg, Fisica e filosofia, in alcuni passaggi dove sembrava un libro di religione per gli atti di fede che chiedeva al lettore.
Al terzo squillo il mittente cambiò: era il Direttore dell’Aisi, l’Agenzia di Informazioni e Sicurezza Interna e vista l’ora ci doveva essere un problema importante.
«Fata.»
«Benedetto il Signore, Fata, perché non rispondi al cellulare?»
«Ho risposto» fece lui titubante, mentre con la mano destra girava la pagina del libro.
«Fata, non mi prendere per i fondelli! Mi hanno chiamato, sono dovuto uscire dalla sala del teatro per prendere la telefonata e mi dicono che non rispondi! Non sono il tuo segretario!»
«Ops. Ho capito, richiamo subito l’altro numero, mi disp…» non finì la frase perché non c’era più linea, il Direttore doveva essere leggermente alterato.
Fata completò con calma la sezione del libro che stava leggendo e poi richiamò il numero sconosciuto.
«Laboratorio.»
«Ho ricevuto una chiamata da questo numero, sono Fata, Ugo Fata.»
Come al solito quando diceva il suo nome dall’altro lato c’era sempre un periodo di silenzio per digerire l’accostamento inusuale, per metà colpa di suo padre e metà della scelta del nome di sua madre. Dopo una breve musica da centralino:
«Ugo, sono io» fece una voce argentina, esattamente l’opposto della sua, cupa e bassa.
Si sforzò, ma non la riconobbe.
«Ugo, sono Maristella.»
Silenzio.
«Maristella Tumidei, abbiamo fatto il liceo assieme, ci sei? Stavi dormendo?»
«No, scusa, stavo leggendo una roba interessante. Ciao, come stai? Come mai conosci il mio Direttore?»
«Lavoro per l’Istituto di Fisica Nucleare, mi occupo della cybersecurity e mi hanno mandato qui in questo laboratorio, sotto la montagna.»
«Sotto il Gran Sasso? Ma il 165 non è il prefisso dell’Abruzzo.»
«No, sotto il Monte Bianco, il laboratorio è segreto e te lo sto dicendo solo perché ci servi qua. Ho bisogno di una mano e su, in qualche ministero, ci hanno dato il tuo nome. Se la cosa non fosse grave sarebbe stata una reunion divertente. L’ingresso è al km 3,6 del traforo, poco prima del territorio francese. A che ora arrivi?»
—
La mattina dopo, Ugo andò senza portare con sé niente di particolare, non tollerava neanche di portare l’arma che era d’obbligo in missione. Più che un agente era un analista. Più che fare, ricavava informazioni. Era famoso all’interno dei servizi per aver risolto casi di infiltrazioni di talpe russe nei servizi stessi e identificato i colpevoli di alcuni omicidi inspiegabili.
Al punto indicato c’era una piccola area di sosta, dove si fermò come da indicazioni infilandosi in una specie di box scavato nella roccia, dove però non c’erano porte e peraltro neanche lo spazio per aprire lo sportello. Aprì il finestrino e attese. Dopo qualche secondo, si sentì una voce proveniente da qualche cassa nascosta nella parete:
«Nome?»
«Fata, Ugo Fata.»
Non aveva finito di parlare che la macchina ebbe uno scossone e poi lentamente si inabissò in quello che sembrava un ascensore, che andò giù per diverse decine di metri. La piattaforma si fermò in un garage sotterraneo, tipo quello di un centro commerciale.
Ugo entrò e pur trovando posti liberi fece il giro completo della struttura, un po’ per capirne le dimensioni, ma soprattutto perché aveva il vezzo molto comune di cercare sempre il posto più vicino all’uscita, a costo di girare per ore.
Trovò una porta di metallo rossa, che dava su una stanzetta minima con un’altra porta chiusa. La seconda porta era molto più spessa e si aprì solo dopo che scattò la chiusura della prima. La scena si ripeté per tre stanze, dove l’ultima aveva un’atmosfera evidentemente diversa, tipo aria di montagna, e soprattutto la presenza ingombrante di due soldati enormi e armati.
«Documenti.»
Ugo espose il tesserino, che controllarono a un pc. Poi passò in un metal detector e prima di farlo proseguire gli dissero:
«Dal laboratorio non potrà portare via niente. Adesso la lasceremo entrare in un’area dove può lasciare in un armadietto tutto quello che ha, compreso i suoi vestiti e indossare una delle tute da lavoro: nel dubbio ne prenda una di misura più grande, se restasse più di un giorno potrebbe doverci dormire dentro.»
Dopo questa lunga trafila, Ugo si trovò, oltre l’ennesima porta, in un corridoio più illuminato e un altro soldato che lo attendeva.
«Salve, sono Angelo e resterò con lei per tutto il tempo che rimarrà nel laboratorio.»
Sorrise, mentre Ugo si chiedeva se lo avesse seguito anche in bagno. Sempre se fosse permesso, andarci.
Angelo gli indicò la strada e lungo un corridoio si fermarono a una scrivania dove c’era un libro aperto e un portapenne pieno:
«La firma a inizio giornata serve per sapere chi c’è di turno nei vari laboratori.»
Mentre Ugo firmava, vide che la notte prima erano stati presenti in cinque, e quella mattina c’erano almeno una ventina di firme con accanto ora di inizio e fine turno.
Quindi, quando raggiunsero una sala riunioni riscontrò che erano presenti tutti quelli del turno: c’erano da un lato diversi ricercatori con camice bianco e un paio di giovani in camice marrone, mentre a capo tavola un dirigente in giacca e cravatta e Maristella con una tuta come la sua, entrambi con il loro soldato alle spalle.
«Buongiorno, si sieda. Le presento…» e iniziò con una fila di nomi di cui Ugo si dimenticò istantaneamente. C’era un decano, con una lunga barba bianca che lo ricopriva anche sulle guance fin sotto gli occhi, che lo guardava con curiosità, diversi scienziati o ricercatori più o meno attenti o annoiati, e due giovani che stavano con la schiena dritta come fosse un giorno di esame all’università.
«In realtà è un semplice caso di data breach, di attacco di un hacker che è entrato nei nostri sistemi e ha fatto cose. Io ero contrario alla necessità di coinvolgere i servizi, ma la dottoressa Tumidei non solo ha insistito, ma sembra abbia anche i poteri per farlo.»
Lei sorrise, senza mostrare traccia di essere colpita dal tono del dirigente.
«In ogni caso» continuò il dirigente «io oggi andrò a Roma a fare il punto con rappresentati dei ministeri coinvolti. Auspico che l’intervento sia veloce anche se immagino non risolutivo…»
Ugo non rispose alla pausa che probabilmente era stata lasciata per dargliene la possibilità.
«Insomma, spero di non rivederla quando sarò tornato, anche se immagino non doveste cavare un ragno dal buco.»
Disse così. Visto che nessuno rispondeva niente, appoggiò entrambe le mani sul tavolo, si alzò, tolse dei pelucchi invisibili da una manica della giacca e sparì.
«Buongiorno Ugo», fece Maristella appena la porta si chiuse con un tonfo.
Il decano, il Direttore Scientifico Galli, si rivolse a lei:
«Dottoressa, se non le dispiace torneremmo al nostro lavoro. Venite pure nel laboratorio se avete bisogno di qualcosa» e si alzò con calma. Gli altri scattarono subito in piedi e a branco abbandonarono la sala dietro l’anziano.
Rimasti soli, così per dire visto che avevano i propri soldati alle spalle immobili come due bronzi greci, Ugo chiese:
«Che succede?»
«È vero, un’evidente intromissione di un hacker in un sistema blindato. Ma più blindato di quanto tu possa immaginare.»
«Di solito c’è sempre una via.»
«No no, qua la situazione è super controllata. Per spiegarti facile, loro possono consultare internet, ricevere informazioni, eventualmente anche scaricare trojan, virus e quant’altro, ma non esce niente.»
«Qualcosa esce sempre: ad esempio per navigare hai bisogno dei dns, i pacchetti che interrogano il dns di solito escono più volte al minuto, c’è un tipo di attacco che li usa mandando le schermate spezzettate appese al singolo pacchetto innocente per controllare da remoto una macchina.»
«Quando dico niente lo so per certo: ho adattato il software di un firewall che controlla anche la dimensione teorica che dovrebbe avere il singolo pacchetto, con un’AI che interpreta il contenuto di ognuno di loro per filtrare eventuali anomalie.»
«E non ha segnalato niente?»
«Nessuna attività sospetta e sotto la montagna non c’è possibilità di usare altre reti, cellulari o radio nascoste. Considera che neanche i soldati dell’anello esterno possono entrare, e il turnover di quelli interni è su turni di sei mesi, nessuna attività in tempo reale può essere condotta.»
Si aprì la porta e rientrò lo scienziato più anziano. Si presentò di nuovo:
«Galli. Scusatemi, ma tanta gente alle riunioni significa tempo perso per la maggior parte di loro. E abbiamo un grosso problema da risolvere.»
Ugo intervenne:
«Qual è l’entità del danno? Hanno rotto qualcosa o lo hanno portato via?»
Maristella e Galli si guardarono per decidere chi dovesse rispondere.
«Non hanno portato via niente? E non hanno rotto niente?»
Non risposero.
«Resta la terza opzione… hanno lasciato qualcosa. Una firma? Qualcosa di terribile?»
Maristella iniziò a dire:
«In realtà…»
«Non ci credo! Qualcosa di UTILE?»
«È difficile dirlo…»
Intervenne Galli con voce inaspettatamente calma:
«Scientificamente parlando, qualcosa di esplosivamente utile…»
«…ma impossibile. O meglio assolutamente improbabile, per lo meno se consideriamo le conoscenze pubbliche del giorno d’oggi.»
—
Galli fu chiamato con urgenza, per cui Ugo e Maristella andarono a fare pranzo in una specie di mensa senza personale visibile. C’erano armadi self-service, alcuni refrigerati, altri riscaldati, e alcune macchine da caffè con cialde. I loro due soldati si presero un caffè e si sedettero a un tavolo vicino, lasciandogli un po’ di privacy.
«Acqua a volontà» disse lei, sorridendogli e indicando dei dispenser con bicchieri di vetro impilati.
«Niente di alcolico, zuccherato o con le bollicine?»
«Ricordo, tu sei il dipendente da coca zero…»
«Lo so, lo so, ci sono gli edulcoranti, è acqua colorata, eccetera, ma un vizio devo averlo, no?»
«È solo che mi stupisce per una testa come la tua…»
Lui girò gli occhi al cielo, sempre sorridendo.
«Così attento a certe cose che altre spariscono dal tuo panorama… ad esempio, ti ricordi l’ultima volta che ci siamo visti?»
«Certo, è stato sei anni fa, il 17 Luglio.»
«Bravo, cosa abbiamo fatto?»
«Siamo andati al cinema, poi cenato in centro, poi ti ho riaccompagnato a casa.»
«E…?»
«No, il film non lo ricordo. Neanche cosa abbiamo mangiato. Mi ricordo che ci siamo divertiti tanto.»
«Sotto casa ti ho chiesto di salire, ricordi?»
«Sì, che mi ricordo. Quella sera avevo da finire una dispensa sulle cryptovalute, me lo ricordo benissimo. Sono riuscito a scriverla e il giorno dopo l’ho consegnata in anticipo di una settimana.»
Lo guardò per capire se fosse serio, ma Ugo era veramente contento di quella serata, anche per aver scritto la dispensa.
«E non ti è venuto in mente che…»
«Cosa?»
«Lascia perdere» sorrise e si nascose dietro la tazzona di caffè allungato all’americana.
«A proposito, Galli non mi sembrava preoccupato, anzi vedo un certo fermento.»
«Cosa sai della Materia Oscura?»
Ugo si stese sulla sedia, nella sua solita posizione con le gambe allungate e le mani sulla testa: sembrava un manichino appoggiato per caso.
«Per farla semplice, facendo i conti le cose non girano se non supponendo una grandissima quantità di roba là fuori.»
«Più o meno» rise lei.
«Nel caso specifico, le stelle esterne nelle galassie girano alla stessa velocità di quelle interne, anche se sono più lontane dal corpo centrale e non dovrebbero risentire della stessa gravità.»
«Esatto.»
«Ma che c’entra un attacco hacker con delle variabili puramente inventate per far funzionare i calcoli?»
«Lo facciamo spiegare ai tecnici: andiamo a cercarne qualcuno libero.»
—-
Rossi e Fagiani erano due scienziati alla macchina del caffè: lei piccola, con lo sguardo vispo dietro due occhiali spessi. Lui in tipico atteggiamento supponente le stava spiegando qualcosa, anche se lei sembrava disinteressata alle sue parole.
Interpellati, lei rispose:
«Abbiamo una nostra teoria…»
Ma la interruppe Fagiani:
«…che le spiego subito: la materia oscura per avere gli effetti desiderati dovrebbe essere come una nuvola attorno a ogni galassia, una nuvola enorme. Consideri che la via lattea è larga centomila anni luce» disse come per stupire Ugo.
Il quale invece si rivolse alla dottoressa:
«Invece la vostra teoria qual è?»
«La nuvola si dovrebbe estendere a…»
«…quasi 1,9 milioni di chilometri, secondo alcuni. Noi invece ipotizziamo che sia concentrata in piccoli buchi neri distribuiti per tutta la galassia, appesantendola quanto basta.»
«Buchi neri? Davvero? E non li vediamo? Mi sembra che a oggi nella via Lattea abbiamo conoscenza solo dell’enorme Sagittarius al centro.»
«Ehm… si tratta di calcoli teorici…» qui finalmente Fagiani s’impallò, toccando probabilmente il limite di quello che sapeva, così la dottoressa poté concludere:
«L’unico vero segnale, l’unica forma di analisi è quella gravitazionale. Non abbiamo onde radio, frequenze, influenze, energia, nessun tipo di conferma se non quella della gravitazione. Quindi molta componente di questa teoria è quella matematica, ad esempio per spiegare la velocità di rotazione periferica della galassia. Con la massa di piccoli buchi neri potremmo spiegare anche perché non vediamo quello che dovrebbe essere il 95% della materia là fuori.»
«Poi c’è l’esperimento…»
«Zitto» fece lei, «non…»
«Ma…» in pratica iniziò un balletto evidente fra i due, molto più lampante del segreto che volevano celare.
«Abbiamo il più alto livello di sicurezza possibile» fece presente Maristella.
Ma entrambi si gelarono: stava arrivando Galli, un po’ trafelato, ma che disse ai due agenti:
«È morto Lucas.»
Mentre andavano dietro al decano, Ugo fece un viso interrogativo a Maristella, che era un po’ sconvolta dalla notizia ferale:
«Allora, ti dicevo del problema dell’hacker.»
«Sì.»
«Hai presente questa interazione buchi neri e materia oscura? C’era un progetto molto sperimentale, quasi fantasioso, per la creazione di un buco ingabbiato in un forte campo magnetico.»
«Un buco nero dentro un laboratorio?!»
«Sì, è pazzesco. Ma l’hacker che è intervenuto ha riempito pagine di dettagli per la soluzione di tutti i problemi particolari.»
«Bene?»
«Male! Cioè scientificamente un sacco di teorie nuove di cui vedere l’applicazione è una cosa che porta avanti la ricerca di decenni.»
«Ho capito. Hanno fatto il buco nero.»
«Già…»
Qui Ugo fece uno sguardo severo, come se la sua intuizione fosse troppo pessimistica per essere vera.
«E si è scoperto che non riescono a fermarlo…»
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Il decano dovette registrare le loro pupille per farli entrare in un ascensore che portava in un laboratorio ancora più sotterraneo. I soldati erano già registrati e si strinsero alle loro spalle nell’abitacolo. Scesero per diversi minuti, ma non c’era indicazione di piani, solo un tasto Su e uno Giù.
L’aria era ancora più sottile, per limitare rischi di incendio l’ossigeno veniva tenuto ai livelli di alta quota, ci misero qualche minuto ad abituarsi, mentre percorrevano un tunnel circolare.
Al centro di una sala semisferica, una palla di metallo nero opaco, con una miriade di cavi e tubi e tiranti da farla sembrare emergere da una matassa di lana.
Tre scienziati stavano a tre diversi terminali, accanto, spalla a spalla.
Altri due erano in una delle salette laterali, dietro una parete di vetro: uno era in piedi che scriveva su un tablet, l’altro era sdraiato, sotto un telo, con le orbite degli occhi vuote, nere, fumanti.
«Lì dentro», l’anziano scienziato era comunque orgoglioso della loro creatura, quasi dimenticando il collega fuso dietro.
«Com’è successo?»
«Lucas? Stamane è arrivato con una nuova idea, ma non ha voluto condividerla. S’è messo al terminale, dicendo qualcosa sul fatto che la materia oscura andava ‘protetta’ dai buchi neri.»
«E poi?»
«Stava inserendo delle variazioni nel campo magnetico di contenimento. Ma c’è stata una vampata, ed è caduto all’indietro, tutto l’apparato nervoso e i bulbi oculari carbonizzati, in fumo.»
Ugo si abbassò a terra ed estrasse un foglio piegato. Lo mostrò a Maristella e poi a Galli:
«Conoscete questa calligrafia?»
«Sembrano appunti, ma è la scrittura di un bambino.»
Ugo annuì, mise il foglio in tasca e si apprestò a visitare il defunto.
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La sera, lui e Maristella discutevano animatamente, quando la coppia Rossi e Fagiani si avvicinò al tavolo dove avevano cenato.
«Scusate, non potevamo parlare stamattina.»
«Ma adesso sappiamo che sapete, che tragedia povero Lucas.»
Ugo tirò fuori gli appunti e chiese: «Cosa ne pensate di questi appunti? A cosa si riferiscono?»
Fagiani tolse il foglietto a Ugo e lo guardò, senza condividerlo con la collega. Poi, forse non trovando niente di interessante, glielo passò.
«Saranno i compiti di matematica del figlio di qualche ricercatore.»
Lei invece osservò, parlando lentamente:
«Ma no guarda, questa la puoi vedere come una trasformata di Fourier, e … questo non l’ho mai visto, che costante è questa? Insomma, sembra inerente a campi di potenza, ma applica un tasso di variazione con una roba mai vista.»
Fagiani lo riprese in mano, la studiò per bene, poi chiese a Ugo se poteva tenerlo per la sera: ci avrebbe passato del tempo nel suo turno di notte.
«Non capisco, Maristella: se il primo hacker ci tiene al buco nero, ce n’è un secondo che rema contro? Ma hai idea di come hanno fatto a entrare?»
«È impossibile, non abbiamo apparecchi riceventi dall’esterno, di nessun tipo.»
«Sicura? Non avete nessuno, ma proprio nessun aggeggio che funzioni a onde radio o di potenza? Su qualche scala che non ci aspettiamo?»
«No, qua dentro abbiamo milioni di tonnellate di granito che ci proteggono, passano solo neutrini.»
«…o onde gravitazionali» fece pensieroso Ugo.
«Ma quelle… sono troppo, troppo piccole per intercettarle o perché abbiano effetto sulla nostra realtà. E non abbiamo riceventi di onde gravitazionali.»
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A tarda notte lei accompagnò Ugo nella sua stanza: c’era un letto a castello e lui le chiese se voleva restare che aveva ancora delle domande da farle.
Lei arrossì leggermente, poi andò a prendere la borsa e si trasferì sul letto di sopra.
I due soldati non fecero nessun cenno di intromettersi nella cosa, ma avevano seguito i due fino all’ultimo, poi alloggiarono nella stanza al di là del corridoio: Ugo immaginò che la porta della camera segnalasse in qualche modo la sua apertura.
Una volta a letto, restarono a parlare ancora, con lei che temeva che lui facesse qualche avance.
«…e no, non ho avuto più fidanzati da allora, il lavoro richiede troppo tempo.»
Ugo era assolutamente concentrato sul loro problema per cui rispondeva a monosillabi, mentre la sua testa correva in tante direzioni.
«Ma ti ricordi che al liceo ci eravamo chiusi in palestra?»
«Sì, fu il mio primo bacio e mi ricordo ancora che non sapevo dove mettere il naso, mi sembrava così fuori posto.»
«Che scemo! Ma posso farti una domanda?» si azzardò lei.
«Dimmi.»
«Perché non hai riprovato dopo, a chiedermelo?»
Ugo rifletté, come se la domanda fosse del tutto nuova per lui:
«Ah, lo sai, ti è sempre piaciuto il biondo, Ricky. Per cui era inutile provarci con te.»
Lei s’annuvolò. Era vero che Ricky era il sogno nascosto, il suo principe azzurro, ma non l’aveva mai detto a nessuno.
«Ma che dici?»
«Ne ero sicuro. Anche quando si è messo con quella di seconda, continuavi a sbavare per lui.»
Era vero, più lui passava da una tipa all’altra, anche con fare sprezzante, più lei ne era stata attirata. Ma la cosa che le dava fastidio era che Ugo desse ancora per scontata la cosa.
«Ma è passato tanto tempo.»
«Ti ricordi l’ultima cena? Ecco dopo anni hai passato mezz’ora a parlare male delle tipe con cui era stato, del fatto che forse avrebbe suonato con una band che poi l’aveva rifiutato e altre cose così.»
«Davvero? Non ricordo» era stranita, ma non aveva il coraggio di negare.
«Sì, infatti non sono salito in casa tua per non farmi ripetere quel che una volta mi hai detto, che siamo amici cari, carissimi, unici, ma solo amici. E non ti saresti voluta impegnare… perché aspetti ancora lui. Non è vero?»
Lei rimase al buio silenziosa, tutta rossa in viso, ringraziando che non la potesse vedere. Era vero, lei avrebbe adorato sentirsi corteggiata da Ugo, le piaceva un sacco parlargli e condividere pensieri ed emozioni, lo avrebbe voluto tutto il giorno attorno. Ma all’ultimo non si sarebbe aperta, perché nel suo cuore credeva che il fato, il destino non le poteva sicuramente negare di essere la futura compagna di Ricky. Ne era troppo certa, anche se lui non l’aveva mai più chiamata dai tempo del liceo e lo ricordava ancora adolescente.
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La mattina dopo s’accorsero che le porte erano chiuse, ma che, dopo aver provato a muovere la maniglia, non ebbero il tempo di farsi delle domande che aprirono la porta i loro due soldati, evidentemente già in allerta.
Li portarono al solito libro delle firme, dove Ugo verificò che Rossi e Fagiani avevano fatto il turno di notte.
A fare colazione c’era Galli con una scienziata molto giovane, capelli azzurri, tatuata sul collo e su naso e orecchie i buchi di piercing che evidentemente non poteva tenere nel sotterraneo.
La dottoressa Cortesi si presentò, dicendo di essere più che altro la badante degli stagisti.
«Quale sarebbe invece la sua specializzazione?» le chiese Ugo.
«Neuropsicofisiologia, ma qua sono tutti fisici o astrofisici, non mi diverto molto. Seguo Aldo e Bea come tutor, faccio da psicologa nei casi di stress da laboratorio sotterraneo, ma è come far dipingere la carrozzeria al meccanico.»
Prima che venisse spontanea qualche battuta, Ugo si rivolse a Galli:
«Mi spiega con parole facili a che serve l’esperimento del buco nero?»
Gli si illuminarono gli occhi:
«In pratica il nostro buco è composto da pochi atomi costretti da un fortissimo campo magnetico, chiusi in una cupola di titanio e fibra di carbonio, sotto milioni di tonnellate di rocce. Una volta fatti collassare gli atomi su se stessi in teoria il piccolissimo buco nero non dovrebbe crescere, perché la cupola è vuota, vuotissima.»
Ugo si accigliò:
«E invece cresce?»
«Esatto! Quindi dimostra che c’è della materia che non riusciamo a intercettare, della submateria che solo il buco intercetta e ingloba, crescendo. Quella che sta inglobando è materia oscura, invisibile a tutti gli strumenti, ma vittima della gravità.»
Maristella:
«Quindi state cercando di leggere cosa passa attraverso? Non sono forse i famosi neutrini?»
«Troppo leggeri, anche se fossero moltissimi. Ma potrebbe anche essere che non li vediamo tutti, per giustificare la materia oscura ne dovremmo identificare tanti.»
«Quindi il buco cresce? Di tanto?»
Qui Galli si fece serio:
«Sì, ma non abbiamo idea di come fermarlo. Potremmo liberarlo dalle forze magnetiche che lo costringono, ma non sappiamo se evapora o se inizia a divorare tutto.»
«E più mangia, più cresce e non c’è via di ritorno.»
La frase detta da Ugo gelò l’ambiente. In quel mentre si aprì una porta e arrivò trafelata la Rossi:
«Fagiani» e non riusciva a respirare o parlare o entrambe le cose.
«Cosa?» le chiesero tutti e quattro.
«Gli ho parlato, ma ha detto delle robe strane.»
Attesero che le si calmasse il respiro.
«Cioè, che doveva fermare il buco e sapeva come fare.»
Fece un respiro più profondo.
«Ha detto qualcosa sulla modulazione del campo magnetico, ma quando ha messo le mani sulla tastiera si è bloccato. Come se fosse ipnotizzato, fermo, una statua.»
Ugo si alzò in piedi velocemente.
«Corriamo» urlò e andò direttamente all’ascensore per andare giù nella sala degli esperimenti. Lui e il suo soldato lo presero prima di tutti gli altri che erano stati più lenti a partire. Quindi quando scesero tutti lo trovarono che trascinava via Fagiani tirandolo sotto le ascelle.
Purtroppo era già morto: occhi bruciati come Lucas.
__
Galli al telefono in sala riunioni parlò con i suoi referenti, ma alla fine chiudendo l’ultima chiamata disse:
«Entro due giorni dobbiamo spegnere l’esperimento.»
«Non viene nessuno? Non possiamo evacuare?»
Intervenne Angelo, il suo soldato:
«Abbiamo ricevuto la conferma che non ci faranno uscire finché l’esperimento non sarà risolto.»
Maristella si infuriò e si lanciò a fare una serie di telefonate: la linea per uscire era sempre la stessa, per cui aveva atteso diligentemente che il Direttore Scientifico Galli finisse il suo giro.
Alla fine, anche lei era sconsolata:
«Sanno che l’esperimento non è facile da fermare e sperano che ce la facciamo. Non lasceranno uscire nessuno perché è evidente che ci sia almeno un sabotatore.»
Ugo fece perplesso:
«Ma cosa vogliono fare fra due giorni? Se non riusciamo a spegnere il buco?»
Maristella lo guardò perplessa:
«Perché dici così?»
«Se tengono il sabotatore dentro è perché sperano che voglia evitare di essere inglobato dal buco nero. Ma se passano i due giorni? Qual è il protocollo Omega? C’è un protocollo di emergenza in tutti i laboratori, come coprire di cemento una centrale nucleare in fusione.
Per qualche secondo nessuno parlò.
Galli scosse la testa:
«Ce la faremo. Lo spegneremo entro due giorni…»
«Altrimenti?»
«Il protocollo Omega è farci esplodere e coprire da una montagna di buon granito.»
__
Ugo aveva cercato e trovato il foglio di appunti che era stato di Lucas. Fagiani vi aveva aggiunto le proprie note. Evidentemente, perché era pieno di nuove formule e indicazioni dense nell’ultima parte della pagina.
«Dottoressa Rossi, riconosce queste formule?»
Lei, con gli occhi rossi, disse:
«Non mi sembra proprio.»
«Ma sono formule di competenza del Fagiani?»
«No. Ma non è la sua scrittura, anche se…»
«Cosa?»
«Vede che le elle, le di e le ti sono più basse? Aveva un problema all’indice, quando scriveva andava bene in orizzontale, ma faceva fatica nei movimenti in alto. Quindi la mano era la sua, ma la scrittura è un po’ da bambino.»
Dopo, quando fu finalmente solo con Maristella, soli con i due soldati ovviamente, Ugo disse:
«Potrebbe essere un caso di possessione.»
Lei sorrise amaramente, poi lo guardò, come a dire, dici sul serio?
«Riassumiamo: c’è un, chiamiamolo, hacker cattivo, e uno buono. Gli aggettivi indicano quello che vuole il buco nero crescere fino a inglobare la terra e anche il sistema solare, per lo meno, e l’altro invece che vorrebbe tenere lo status quo.»
«Sì, ok: ma come avrebbero fatto…»
«Adesso ci arrivo: non abbiamo né un chi, né un come, abbiamo solo il perché. Ecco ,se ragioniamo su questo forse ricaviamo gli altri.»
«Ma il cattivo che ci guadagna? Finirà anche lui nel buco, è un martire?»
«No. Non solo non gli fa danno, ma gli conviene… quindi dove sta?»
«See, fuori dal Sistema Solare» fece lei con un sorriso ironico.
Ugo la guardò e serio riprese:
«Immagina di avere tantissime cellule, collegate fra loro da forze minuscole. Cosa ti viene in mente?»
«Un cervello?»
«Ecco adesso moltiplicali per un fattore di milioni, di miliardi di volte.»
«Teoricamente sarà un cervello più complesso.»
«Adesso pensa che questo cervello sia grande. Molto grande, ma grande come da qui al sole, otto minuti luce, oppure come il sistema solare che è 1 millesimo di anno luce, oppure come la galassia cioè centomila anni luce.»
Maristella sbalordì:
«Dicono che la nuvola di Materia Oscura arrivi a 1,9 milioni di anni luce.»
«Ecco il chi: immagina se questo insieme di cellule così enorme potesse ragionare come un’entità.»
«Ma una connessione fra cellule ci metterebbe appunto migliaia, milioni di anni.»
«A meno che non usi la gravitazione in qualche modo che non comprendiamo. Adesso gravitone o spazio tempo sono tutte teorie per spiegare come sia possibile rilevare alcune misurazioni super-luminali. Ma non mi interessa, oggi, sapere la teoria, che la gravità sembri istantanea anche su grandi distanze è uno dei motivi per cui si parla di Materia o Energia Oscura.»
Maristella era un po’ arrabbiata. Da una parte Ugo le piaceva, le piaceva ascoltarlo, ragionare con lui. Adesso lo guardò e si chiese? Se mi avesse chiesto di baciarlo di nuovo non lo avrei fatto? Ma perché? Perché non avrei ceduto alla cosa più facile? Mi sarebbe sembrata una cosa troppo grande, pericolosa da accettare? Ma allora perché sognava invece una persona irraggiungibile, e se anche l’avesse raggiunta, senza sapere se davvero compatibile, davvero simpatica? Perché il mistero era più accettabile del ragionamento razionale?
Adesso se dava credito alla spiegazione di Ugo, seppure razionale, le sembrava di cedere qualcosa.
«Vabbè ma sarebbe quindi un solo chi: il buono o il cattivo? E come farebbe a hackerare i nostri sistemi?»
«La prima domanda al momento lasciamola perdere. Ma sulla seconda: sai che abbiamo tutti un apparecchio che funziona anche a onde?»
«Uff… abbiamo lasciato tutto fuori dal perimetro.»
«Tranne il cervello.»
Maristella trasecolò. I puntini si univano. Maledizione a lui.
«Quindi il cattivo cosa fa?»
«Ha dato le informazioni per costruire il buco nero. L’altro vorrebbe farlo spegnere dando le istruzioni a Luca e poi a Fagiani. Ma il cattivo ne ha preso possesso all’ultimo istante e agitato le cellule nervose fino a farle bruciare.»
«Quindi cosa facciamo?»
«Tagliamo il canale di hackeraggio.»
—
Trovarono la dottoressa Cortesi e le spiegarono la teoria, un po’ imbarazzati. Ma l’argomento rientrava perfettamente nelle sue competenze ed era estremamente felice di collaborare.
«Io ho un casco in laboratorio per fare degli esami che emana un campo magnetico per evitare interferenze sulle frequenze d’onda a cui il cervello risponde.»
Cercarono la dottoressa Rossi che acconsentì a eseguire le istruzioni che avevano scritto Lucas e il collega Fagiani. Fecero tutto nel più estremo riserbo per coinvolgere meno persone possibili.
Una volta nel laboratorio, davanti alla macchina la Rossi si accinse al terminale a inserire le istruzioni. Ma improvvisamente il terminale si spense. Cambiò postazione, sempre con Ugo, Maristella e i loro due soldati alle spalle. Ma anche il secondo terminale saltò.
Rossi si girò allargando le mani, ma Ugo disse:
«Attenda qua, lei è al sicuro. Maristella, non riuscendo a raggiungere il cervello della dottoressa sta usando quello di un altro dottore per sabotarci informaticamente. Intervieni subito!»
Lei entrò in uno degli uffici laterali, mentre la Rossi passava al terzo terminale che però dopo qualche minuto si spense anch’esso. Ne rimanevano due accesi.
Un altro scienziato che era lì disse a Ugo:
«Se non riusciamo a tenere almeno un terminale di controllo qua esplode tutto.»
«Ma non c’è un sistema di backup?»
«Ce ne sono cinque, ma tre sono già spenti…» fece sconsolato, mentre cercava di riavviare il primo senza riuscirci.
«Ugo, la persona che sta spegnendo i terminali è molto abile, non so se riesco a tenerla fuori per molto. Ogni volta che chiudo i suoi processi ne apre altri tre, sarà dura. Prova a intercettarlo fisicamente.»
Ugo corse all’ascensore, seguito dal soldato Angelo, ma al piano di sopra gli scienziati erano tutti a un terminale ed erano più di una dozzina. Come identificare il pupazzo del cattivo?
Corse nel corridoio, raggiunse la scrivania e sfogliò le pagine con le firme di presenza. Dopo qualche minuto, corse via e raggiunse l’ufficio di Galli.
«So chi è l’hacker.»
Galli alzò gli occhi dal terminale.
«Chi è? Fermatelo!»
«Volevo prima chiederle un’informazione. Qual è la galassia più vicina alla nostra?»
«Andromeda, perché?»
«Quanto è distante?»
«Circa 2,5 milioni di anni luce.»
«Quindi la materia oscura di Andromeda si sovrappone già a quella della Via Lattea.»
«E con questo?» Galli era scuro in volto, sembrava annoiato dalle domande di Ugo.
«Ipotizziamo che la Materia Oscura di Andromeda abbia una sua identità. Farebbe di tutto per non farsi inglobare da un’altra entità simile, cioè dall’entità della Via Lattea.»
«Farnetica?» E intanto riprese a battere sui tasti del terminale.
Ugo staccò la spina, Galli gli urlò, Angelo afferrò la pistola e gliela puntò alla testa.
«Lo tenga sotto tiro!» disse Galli e corse verso l’ufficio più vicino a cercare un altro terminale. Ugo allungò una gamba e Galli cadde lungo, andando a sbattere la testa sullo spigolo di vetro della porta, finendo steso e svenuto.
Ugo si girò verso il soldato, cercando di fargli abbassare l’arma.
«Guarda che l’hacker era lui.»
Il soldato era dubbioso, poi dall’ ascensore arrivarono Maristella, la dottoressa Cortesi e Rossi, felici in viso. Avevano spento l’esperimento, il mondo era salvo.
Ma si stupirono della situazione: la dottoressa Cortesi prese il casco dalla Rossi e lo mise al Galli svenuto. Il soldato d’accordo con l’altro fece un passo indietro, ma rimase con l’arma in mano pur tenendola bassa lungo il fianco.
Maristella fece:
«Come hai fatto a capire che era Galli? Sempre se la tua teoria sia vera.»
«Ho controllato le firme, fino a una ventina di giorni fa scriveva in modo diverso, poi ha iniziato a fare una firma più da bambino. Evidentemente l’entità non riesce a controllare la mano con la stessa abilità della vittima.»
«Ma adesso come ci difendiamo? Potrebbe prendere possesso di chiunque.»
Ugo chiese alla Cortesi:
«C’è qualcosa in questo laboratorio che potrebbe aiutare questa possessione?»
«Effettivamente nel mondo reale ci sono molte più interferenze, immagino che in questo ambiente asettico e senza onde sia stato più facile ricoprire una forma d’onda. Solo che è comunque un lavoro immane, anche per un’entità di dimensioni enormi.»
«Infatti», fece Ugo «Non riuscendo a intervenire nel cervello degli altri andava in emergenza a bruciarlo.»
«Ma il dottor Galli?»
«Quanto tempo ha passato nel laboratorio?»
Maristella si collegò al computer sulla scrivania vicino:
«È qui da quindici anni, dalla fondazione.»
Dopo alcuni controlli, affermò:
«Tutti gli altri hanno massimo due o tre turni da sei mesi, evidentemente nessuno resiste più tempo in questo ambiente.»
Ugo fece:
«Quindi l’inquinamento delle onde, acustico, cellulari, radio, ci protegge fuori da qui.»
Poi si fermò a pensare:
«Blocchiamogli le mani e le gambe e proviamo a svegliarlo.»
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«Galli, Galli!» fece la Cortesi allo scienziato che era legato a una sedia.
Lui, con il casco in testa, si svegliò:
«Cosa c’è? Perché sono legato? Che ore sono?»
Ugo gli chiese:
«Mi riconosce?»
«No, dovrei? Cortesi, mi può liberare?»
«Galli, c’è stato un problema che dobbiamo risolvere. Lei è stato…»
Intervenne Ugo, facendo segno con la mano:
«…ipnotizzato, diciamo. Per caso se ne è reso conto? Che giorno è per lei oggi?»
Lui, da scienziato, si fermò ad analizzare la cosa, disse una data del mese precedente e di non sapere nulla dell’esperimento del buco nero.
Allora Ugo chiese alla Cortesi di spegnere il campo magnetico del casco. Lui svenne qualche secondo e poi tornò vigile e, mentre tutti avevano un fremito di ansia, disse con voce profonda:
«Ah ecco.»
Ugo chiese:
«Chi è lei? Andromeda?»
«Ah sarebbe un bel nome» sorrise «ma no, purtroppo per me, con quel nome, voi parlate del mio vicino.»
Maristella insisté:
«Come fate a prendere possesso di quest’uomo? Chi siete voi? Da dove ci state controllando? Di che nazione siete?»
«Cara mia, sto cercando i termini dentro questo cervello per esprimermi meglio. Io sono, ho una coscienza, una memoria, sono attorno a voi e se posso proteggo tutte le piccole unità di vita nel mio sistema.»
«Noi ti chiameremmo Via Lattea» fece Ugo.
«Ecco, vedi che nome?» rise un po’ a bocca aperta «Sapete ho una vita molto lunga e dei pensieri molto più lunghi di quello che richiede la vostra lingua, ma cercherò di riassumere.»
«Come mai Andromeda voleva farci avviare un buco nero?»
«Ecco, vedete, io e lui ci stiamo scontrando e fra qualche tempo uno di noi ingloberà i pensieri e il sistema dell’altro.»
«Vero» accettò Ugo «ma cosa cambierebbe un nuovo buco nero?»
«Ah lui sta cercando in vari posti di spingere la materia a collassare, per fare in modo di essere più grande di me. Ma solo nei pianeti tecnologici potrebbe interferire per ottenere una cosa del genere.»
«Ma come prendete possesso del cervello?»
«Ha avuto l’occasione al volo di trovare un umano in una situazione ideale per leggerne le onde decisionali e sovrapporne un guscio alternativo.»
«Al volo? Sembra ci abbia messo almeno dieci, quindici anni.»
«Cara, la mia vita è in miliardi di anni. Io e Andromeda ci scontreremo in soli quattro milioni di anni, un’operazione del genere è come un battito di ciglia per voi.»
«E dov’è ora, Andromeda?»
«Qui dentro ci sono io ora, voi lo avete scacciato facendo svenire questo corpo. Io ero in attesa e sono saltato dentro appena sveglio.»
«Come facciamo a difenderci?»
«Adesso che so che vi aveva trovati e che sareste capaci di fare quello che stavate facendo ci starò io di guardia, non temete.»
«Quindi libererai Galli?»
«Certo. Io e Andromeda ci stiamo già facendo» si fermò a cercare la parola «dispetti, in molti altri punti. Su questo pianeta sa che non mi può più sorprendere. Come una bella frase che ho trovato in questo cervello, vi saluto, siate felici.»
E svenne, per qualche secondo, dopo i quali tornò normale. Cortesi iniziò a parlargli, mentre Ugo e Maristella andarono in un ufficio accanto:
«Sono basita, e non saprei neanche come raccontare questa storia. Fra l’altro adesso che ti vedo sorridere mi sembra quasi un tuo scherzo.»
Ugo scosse la testa:
«Non so cosa dirti, effettivamente come erano pazzesche le teorie e le soluzioni tecnologiche introdotte per fare l’esperimento, così sono incredibili le spiegazioni.»
Lei lo guardava e intanto pensava fra sé e sé, mi piace quest’uomo, ma non ci uscirei mai. E non so perché, ma mi sembra che la soluzione ovvia mi dia fastidio.
Ugo stava ancora parlando e forse pensando che lei non ascoltasse aveva infilato nel suo discorso:
«…e appena usciamo ti inviterei a casa per un sushi e una folle notte di sesso, senza pensieri, poi potrai tornare a sognare il tuo Ricky.»
«Guarda che ti ho sentito, io accetto e non mi ricordo più chi sarebbe quest’altro di cui parli.»
Ugo finalmente fece un suo sorriso e poi disse:
«Maristella, puoi mettere un po’ di musica nei sistemi di interfono del laboratorio?»
«Ti senti osservato?» il suo sorriso era uno specchio dell’altro. «Metto la sinfonia di Scheherazade di Rimsky Korsakov, va bene?»