2084, La libertà

2084, La libertà

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Era ancora una volta l’ultimo in ufficio: mentre digitava concentrato sulla sua tastiera s’accorse che le luci sulle altre scrivanie si spegnevano, una dopo l’altra. Puntuale come sempre a quel punto il suo co-processore lo avvisò, con il solito messaggio mentale:

“Hai già fatto 12 ore di lavoro, vuoi proprio continuare?”

Lui non rispose neanche, continuò imperterrito a risolvere una pratica dopo l’altra, praticamente una macchina da guerra, senza fermarsi: sapeva che poteva tirare avanti ancora una mezz’ora.

“Attento, le tossine nel sangue sono vicine al limite, che ne dici di staccare?”

“Ancora un minuto” rispose, aprendo un’ultima pratica.

C’erano state delle sere in cui a quel punto si era alzato, era andato al distributore delle merendine e poi si era fatto un sonnellino sul divanetto all’ingresso. Si svegliava poco prima dell’alba, riprendendo a lavorare nel silenzio assoluto, continuando ad aprire pratiche e risolverle velocemente: il suo obiettivo era ottenere tutti i bonus possibili, oltre al suo stipendio.

Invece quella sera si fermò davvero: era il 2 Gennaio 2084 e a breve avrebbe ricevuto l’accredito mensile, ma soprattutto anche il totale dei premi calcolati sull’anno precedente. Spinse indietro la sedia, ruotò la testa per sciogliere i muscoli del collo, spense il terminale e uscì velocemente dall’ufficio. Era appena entrato in casa, quando il co-pro l’avvisò:

“Notifica dalla banca, vuoi vedere gli ultimi movimenti?”

“Certo”

Alzò il braccio sinistro, girandolo a guardare il lato interno; aspettò ansiosamente che i led luminosi smettessero di girare nell’attesa del collegamento, poi l’avambraccio si illuminò con il logo dell’istituto, quindi iniziarono a scorrere i numeri dei movimenti che non aveva ancora visualizzato. Finalmente, subito in coda alle solite bollette, vide arrivare i due importi attesi.

Aveva lavorato come un pazzo e tutti i mesi accadeva la stessa scena, facendo i calcoli a mente per indovinare il saldo. Ma questa volta sarebbe dovuto essere molto vicino al suo obiettivo. Come sempre il co-pro gli suggerì:

“Vuoi che ti mostri il totale del saldo?”

“Si”

Eccola! ce l’aveva fatta, la somma superava finalmente i 100mila crediti. Gli vennero le lacrime agli occhi, dopo mesi di lavoro e tante fatiche quasi non ci credeva più. Crollò a letto, esausto, ma finalmente soddisfatto.

Il giorno dopo era un sabato e ne approfittò per rilassarsi: riprese in mano i libri che giacevano polverosi sul comodino, mangiò a spizzichi e bocconi quello che aveva in casa, si rifiutò di fare qualsiasi cosa, per l’intera giornata.

La mattina successiva la voce del co-pro lo chiamò presto:

“Buongiorno, vuoi svegliarti?

Lui mise la testa sotto il cuscino, poi si ricordò che era il gran giorno e si tirò su sbadigliando.

“Che colazione vuoi fare? Vanno bene i cereali?”

“Vada per i cereali” borbottò. 

Mentre li mangiava svogliatamente giochicchiando con il cucchiaio, il co-pro gli mostrò una carrellata delle nuance del momento.

“Vuoi uno dei colori della nuova stagione? O va bene ancora l’azzurro cielo?”

Lui strinse le spalle, poi tirò su la grigia monotuta del giorno prima, ancora appoggiata sulla sedia dove l’aveva lasciata la sera precedente.

Sulla porta di casa, quando era già con la chiave in mano, il co-pro gli ricordò:

“Non hai buttato l’umido da due giorni; lo vai a prendere?”

Sbuffò. Ci pensò un attimo, poi chiuse rapidamente la porta dietro di sé e si affrettò verso le scale, come a fuggire lontano dal sacchetto che lo attendeva sotto il lavandino.

Arrivato in strada, si fermò un attimo sul marciapiede:

“L’auto l’hai lasciata dietro l’angolo, di fronte al panettiere. È domenica, non vuoi prendere i mezzi pubblici?”

“Ho fretta, non oggi” 

Raggiunse l’auto a passi veloci e partì rapidamente, sperando di non trovare il traffico dei giorni lavorativi.

“Andiamo al Suk, il Mercato Centrale” disse ad alta voce. Per evitare malintesi i co-pro prendevano per buoni solo i comandi e le risposte annunciate ad alta voce: ormai era opinione condivisa che non c’era modo per loro di comprendere correttamente il pensiero umano, troppo spezzato e spesso contraddittorio.

“Vuoi prendere Via Larga e girare attorno al Mausoleo dei Libri? Arriverai in 43 minuti”

“No, basta, è la stessa strada che faccio ogni mattina”

“Hai girato troppo presto, forse vuoi andare dritto fino a Via della Guerra per la Pace? Sono 42 minuti da ora”

In realtà lui voleva passare dal centro e ci avrebbe messo molto meno.

“Se continui così, forse vuoi tornare indietro girando alla Rotonda del quadrato?

“No, voglio passare da Piazza d’Uomo” fece lui.

“Non si può, la domenica è zona a traffico limitato, vuoi prendere Viale Chiara Ferragni?”

“Va bene” digrignò, non gli restò che andare sulla circonvallazione, dove c’era come al solito un po’ di gente in coda.

Mentre guidava, il co-pro gli chiese:

“Vuoi sentire i messaggi in arrivo?”

“Fammi sentire” bofonchiò.

“Gli ultimi sei messaggi sono di Dalila, li vuoi ascoltare tutti di seguito?”

“Se proprio devo…”

E iniziò a sentire la voce stridula della sua ex-fidanzata che sproloquiava di questo e di quello, tanto che a un certo punto dovette intervenire:

“Basta, basta, non me ne far sentire più!”

“Ci sarebbero anche della mail inevase, a cui non hai ancora risposto, te le leggo?”

“No” poi pensò che doveva confermare una prenotazione per le vacanze “Anzi, si, si”.

Il co-pro iniziò a leggere le mail, ma ogni tanto si interrompeva:

“Non è che stai andando troppo veloce?” o “Puoi tenere la distanza da quello davanti?”

Ma lui aveva fretta, piuttosto accelerava.

“E se mantenessi la destra?”

In quel momento lui stava facendo una manovra per sorpassare, anche se lo spazio non era sufficiente; dopo un paio di tentativi e una tempesta di clacson arrabbiati dietro, mollò e ritornò dentro la sua corsia.

Arrivò finalmente nella zona del Suk, una grande area commerciale dove si vendeva di tutto, sempre aperta, giorno e notte.

“Guarda che a 600 metri c’è un grande parcheggio, dove mi risultano liberi il 27% dei posti, sostiamo?”

“Oppure qua vicino c’è un autosilos, non costa tanto, andiamo?”

Lui non aveva voglia di lasciare l’auto troppo lontano dall’ingresso e alla fine salì con due ruote sul marciapiede, rubando il tagliando della multa dall’auto appena dietro e mettendolo sotto il suo tergicristallo.

Il mercato era un delirio, la folla che spingeva in ogni direzione, annunci di offerte da negozi di tutti i tipi, dagli ipermercati ai brico, dalle botteghe ai laboratori artigianali. Lui si tuffò in mezzo alla gente e si diresse verso la prima tappa della giornata: per poter spendere i suoi crediti doveva prima convertirli in cryptomonete.

Con quelle poi sarebbe stato libero di comprare senza essere tracciato: chiaramente però l’operazione di cambio era di per sé pericolosamente al limite del legale.

Al centro di una piazza animata da pareti di video di tutti i tipi c’erano i banchi scommesse: sugli schermi passavano corse di cavalli, inseguimenti di cani, robot che combattevano fra loro, umani in sfide sportive. Intorno la gente urlava, con i propri tablet e le cuffie nelle orecchie, a incitare il proprio campione e a insultare gli avversari.

In un angolo si trovava il finto baracchino delle scommesse che stava cercando. Avrebbe fatto la sua puntata, ma le giocate oltre una certa soglia richiedevano l’autorizzazione del co-pro, in ogni caso. Così lui disse a voce alta, indicando un cavallo preciso su un display pieno di numeri:

“Voglio fare una puntata da centomila crediti”

“Le probabilità di vittoria sono inferiori a un sesto, al diciotto per cento.Ne sei proprio sicuro?”

Lui non rispose, sperando di passarla liscia.

“Il gioco può essere un vizio pericoloso, guarda quell’attore che ha vinto l’anno scorso gli Oscar: ha perso tutto al gioco, vuoi vedere altri esempi?”

Non fece una piega. Neanche quando il co-pro gli chiese se aveva messo abbastanza soldi per la pensione o se invece non preferiva spenderli in una vacanza.

La commessa aveva il viso mascolino, ambiguo quanto il finto botteghino: lui le fece un cenno, poi indicò il cavallo con il nome della cryptovaluta desiderata. Quindi mostrò sull’avambraccio la cifra selezionata, aprì la mano sul POS per l’autorizzazione con la lettura del palmo.

In un bip i soldi sparirono e subito dopo gli arrivò una notifica di accredito dell’equivalente in cryptomoneta non tracciabile.

“Stupido co, ti ho fregato” pensò, assaporando un futuro migliore.

Carico della valuta giusta, si infilò nel bazar dei bioaumenti, come al solito affollato da gente di tutti i tipi. 

“Vuoi andare nei supermarket? Ci sono sempre buon offerte”

Lui tirò dritto verso le botteghe più piccole, attraversando banchi pieni di protesi estetiche, braccia da lavoro automatico, gambe da atleta, esoscheletri parziali e interi; proseguì tagliando la folla distratta, superò estensioni oculari, nasi da sommelier, labbra con trucco cangiante e ciglia a lunghezza variabile. 

In una rientranza trovò finalmente la vetrina che stava cercando, si guardò attorno leggermente nervoso, ma c’era troppa gente per provare a entrare inosservato. Attese qualche minuto, poi prese coraggio e si infilò dentro.

Fu come cambiare mondo: passò dalla luce, dai rumori, dalla folla a un silenzio ovattato e una penombra accogliente. Rispetto alle bancarelle e vetrine viste prima, in quel piccolo negozio non c’era niente di vistoso. 

Sul bancone solo un po’ di cataloghi e un paio di display, davanti alcuni sgabelli alti da bar, mentre sulla destra quella che sembrava una sedia da barbiere, ma senza specchio di fronte. Un cartello sopra la porta, che si vedeva solo girandosi indietro dopo aver passato la soglia, diceva “Area co-pro disabilitati”.

Il commesso era chino su un piccolo banco da lavoro, illuminato da una lampada a stelo, con degli attrezzi in mano. Al suo ingresso alzò lo sguardo un attimo, ma non interruppe il suo lavoro. Era quasi calvo, con una corona di capelli bianchi finissimi che nella penombra sembravano fili di luce.

Lui si appoggiò al banco e attese qualche minuto. Poi, visto che l’impiegato non si muoveva, proruppe:

“Sono qui per il trapianto di un modello no-co.”

L’altro alzò la testa e sempre senza posare gli attrezzi, gli rispose:

“Mi ricordo di te. Quand’è stato, sei mesi fa? Ne avevamo già parlato.”

“Si, sono convinto. E adesso ho anche il denaro” e così dicendo mostrò l’avambraccio con la cifra in cryptovaluta.

“Il modello no-co sarebbe contro le leggi dello stato, se questo conta qualcosa per te. Potrei invece semplicemente migliorare le prestazioni del tuo, ci sono degli upgrade meno costosi che…”

“No, no! ho deciso”

“Sai che non si torna indietro, vero?”

“Lo so” rispose, continuando a mostrare l’avambraccio illuminato dai led dell’importo.

“Va bene. Vatti a sedere là, pagherai dopo”

Mentre lui si metteva comodo sulla sedia da barbiere, il commesso andò all’ingresso a tirare giù la tapparella per oscurare la vetrina, girò il cartello con la scritta Torno subito, poi ritornò dietro il bancone e sfilò fuori una scatoletta di legno da un comparto invisibile. L’aprì con cura, maneggiando con attenzione quelli che sembravano normali attrezzi da laboratorio, scegliendo un cacciavite dal manico rosso.

Si posizionò alle sue spalle e, mentre canticchiava una marcetta musicale, la cavatina di Figaro, gli svitò la cupoletta sulla parte posteriore del cranio, estrasse alcuni fili, soffiò dentro con un piccolo aerosol, poi scelse un cacciavite più piccolo, dal manico giallo e nero, e svitò con attenzione una piccola schedina con su un processore, un chip rettangolare con un riquadro olografico al centro. 

“Chiuda gli occhi” disse e sembrava l’avesse detto senza interrompere la marcetta.

Impugnando un piccolo saldatore liquefece i contatti che tenevano il processore collegato alla sua basetta verde, lo mise da parte in un alloggiamento della scatola di legno ed estrasse un chip dorato con i bordi rossi, alto quasi il doppio. Lo inserì, saldò, riavvitò, spinse la scheda dentro, schiacciò i fili e finalmente rimise al suo posto la cupoletta, avvitando con cura, riposizionando bene i capelli e lasciando come unica traccia dell’intervento un lieve puzzo di bruciato.

Quando finalmente l’omino disse che poteva riaprire gli occhi, lui si accorse di sentirsi subito meglio. I pensieri gli sembravano più fluidi, meno contorti.

Pagò, sorrise, salutò continuando a ringraziare, non vedendo l’ora di uscire dall’area ovattata del piccolo negozio e riemergere nel mondo normale a provare il suo nuovo co-pro.

Appena fuori esalò un sospiro come se avesse trattenuto il fiato per tutti i sei mesi precedenti, anzi da tutta una vita. La sensazione era di pace: questo tipo di processore era silenzioso, non faceva domande, non presentava alternative e non poneva dubbi, ma autonomamente lo portava fuori dal Suk, gli faceva raggiungere l’auto e lo faceva guidare in modo perfettamente diligente sul percorso migliore, leggendogli una dopo l’altra le mail e le risposte che preparava tutto da solo nel contempo.

Era così rassicurante: poteva dire addio agli sbagli, alle indecisioni, ai ripensamenti. Questa nuova Cpu avrebbe preso ogni volta la decisione migliore e lui poteva finalmente rilassarsi.

Ergo Scripsit

"There is no dark side of the moon, really. Matter of fact it's all dark."

Questo articolo ha un commento

  1. Cinzia Fabretti

    Fantastico! Capovolgi le attese del povero lettore in modo fantastico!

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