Il nostro colloquio in uno dei laboratori dell’istituto durava da almeno un’ora. Non ne uscivamo, io ero così stanco e nervoso che mi sono alzato dal tavolo e ho iniziato a camminare su e giù per la stanza cercando di scaricare la tensione. Mentre Bradley era rimasto seduto, apparentemente calmo.
«Non è possibile. Non è possibile e non possiamo farlo» ripetevo ossessivamente. Mi rendevo conto che come motivazione non possiamo farlo era debole, ma in quel momento non ero riuscito a trovare di meglio per puntellare i miei sforzi.
«Ascolta tutto quello che devo dirti» mi rispondeva Bradley con pazienza.
«Ho sentito abbastanza.»
«Non riesci a essere obiettivo, vedi le cose in un modo superato» ha detto appoggiandosi allo schienale, sforzandosi di dare alla voce un tono neutro, forse per non offendermi. Ne era uscito un sibilare intorno alla sua frase che tradiva anche la sua ansia. Aveva bisogno di un mio parere positivo e questo l’avevo capito.
«Te lo ripeto, non puoi ricreare un essere vivente, non puoi» gli ho ripetuto gesticolando nell’aria.
«Io non creo nulla, assemblo dei pezzi che posso produrre.»
«E che differenza ci sarebbe?»
«Non gli darei la vita. »
A quelle parole sono tornato al tavolo, ci ho appoggiato le mani sopra e alzato la voce.
«Ma che cazzo stai dicendo! Generi un essere nuovo, mai esistito, con i suoi pensieri, le sue funzioni e mi dici che non gli daresti la vita? Ma credi di essere Dio?» Forse era finito il momento in cui potevamo dialogare come due scienziati, come due vecchi amici.
«Non ti agitare. Non gli darei la vita nel senso che non avrà un cervello, e quindi una coscienza come la intendiamo noi. Sarebbe esclusivamente una macchina di carne.»
«Con alcuni istinti.»
«Gli istinti provengono dal patrimonio genetico, io darei loro solo delle istruzioni.»
«E pensi che basti a non farci fare a pezzi da mezzo mondo?»
«Sì, lo penso e comunque siamo arrivati sulla porta, Harrison, e possiamo passarla. E a questo punto, io dico che dobbiamo passarla.»
«Me lo racconti come se non ti rendessi conto di quello che accadrebbe. Il giorno stesso che annunci di aver passato la tua fottuta porta scoppia un casino. Lo capisci questo? Come pensi di uscirne? Andando a dire che non sono veramente vivi, come intendiamo noi?»
«E cosa devo fare, mollare? Io ci sono arrivato. Scusate, mi sono sbagliato, butto via tutto. Mi metto buono in un angolo e aspetto che lo faccia qualcun altro?» Anche Bradley si era alzato in piedi davanti a me e non provava più a tenere bassa e calma la voce.
«Non puoi chiedermi di fermarmi. Ho tutti gli organi e posso metterli insieme e …»
«Non ti ho autorizzato a sviluppare cellule nervose. »
«Posso riprodurre tutto. Muscoli, ossa, nervi e farli funzionare. Cristo Santo, Bradley, ti rendi conto? Ci siamo arrivati, ce l’abbiamo davanti e vuoi che molli tutto solo per un tuo problema morale?» Lo ha detto urlando e per una persona sempre controllata come lui questo era inconsueto. Chissà cosa stavano pensando nei laboratori vicini.
Poi si è come svuotato. Il suo sguardo ha perso intensità, ha abbassato la testa e si è lasciato cadere sulla sedia come se fosse sfinito. E anch’io mi sono seduto nuovamente. Era un colloquio difficile per tutti e due.
Mi sono sorpreso a osservare quello che aveva mostrato per convincermi. Dei muscoli neuronali, come li aveva chiamati. Erano piccoli sacchetti muscolari che strisciavano autonomamente sul tavolo. Spinti a ricercare la luce, un istinto primordiale che si era ricreato nelle poche cellule nervose che possedevano. Un risultato incredibile. Che avrebbe rivoluzionato lo studio del sistema nervoso e molte altre cose nella medicina. Due di loro si erano avvicinati alla mia mano e cercavano di montarci sopra.
«Senti. Scusami per il tono. Ma ho bisogno del tuo aiuto» mi ha detto dopo un paio di minuti, in cui insieme a me osservava le sue creature.
«Questo l’ho capito.»
«Mi mancano pochi mesi per rimettere tutto insieme. Insieme potremmo farcela anche prima.»
«Come fanno a muoversi questi, questi molluschi?»
«Hanno un sistema nervoso minimo, sufficiente a coordinare i movimenti delle fibre muscolari e un endoscheletro cartilagineo per sostenerle.»
«Da dove ricavano l’energia?»
«Con uno sfiato sul dorso, collegato a polmoni rudimentali. Non hanno bocca, né cuore. Una sacca di glucosio interna contiene gli elementi necessari a integrare il funzionamento delle fibre muscolari e nervose. Il sistema vascolare è, di fatto, un bagno di zuccheri senza circolazione. Le tossine vengono escrete direttamente dalla pelle.»
«E quando la sacca finisce?»
«Si fermano.»
«Decidi tu la durata della loro vita?»
«Non è vita, non ancora. Ma comunque sì, la decido io. Dipende tutto da quanto glucosio hanno dentro.»
«Quanto durano? Un giorno, due?»
Prima di parlare Bradley ha schiarito la voce.
«In realtà è variabile, con un centimetro di glucosio alcuni si muovono per due settimane, altri arrivano a un mese.»
Io non gli rispondevo, osservavo quelle creature silenziose.
«Mi è sembrata una cosa buona» ha aggiunto alla fine.
Toccandoli avevo la sensazione di palpare una lingua biancastra, vagamente ruvida, umida in superficie. Non reagivano alle mie sollecitazioni, a parte uno, che si ritraeva tutte le volte che il mio dito lo sfiorava. Nel suo caso la generazione neurale si era sviluppata un po’ meglio. Mi è venuto in mente che forse stavo guardando l’Adamo di una nuova razza. Appena creato al suo mondo, nel sesto giorno della Genesi. E quel piano di plastica, liscio e bianco dove si contorceva, fosse il suo nuovo giardino dell’Eden.
«Non possiamo» gli ho risposto senza alzare la testa, mentre toccavo quelli esseri che si spostavano per il tavolo e quel non possiamo sentivo che era diventato diverso rispetto a prima.
«Non dobbiamo fermarci. Non ora. Posso passare da un assemblaggio di tessuti a un progetto più complesso. Dammi ancora qualche mese. Terminiamo lo studio, presentiamolo al mondo.»
«Dovevi creare delle bistecche sintetiche, non provare a essere un dio.»
«Io non sono un dio, ma ho in mano tutto il necessario per ricreare la vita. È un passo che l’uomo prima o poi sarebbe arrivato a fare e noi ci siamo arrivati per primi. Ci pensi? Per primi. Non ci sono alternative a continuare.»
«Ci faranno a pezzi. Lo bruceranno questo istituto. Io non ho altro.»
«Ascoltami Harrison, guardami!» ha detto, «Sono un ricercatore brillante. Le tue bistecche te le faccio, se vuoi. Le migliori bistecche che tu abbia mai visto, in un laboratorio molto più grande di questo. E daranno da mangiare a milioni di persone. Ma ora lasciami finire il lavoro, Cristo santo!»
«Hai firmato anche tu il nostro codice etico. Non dovevamo arrivare a questo punto.»
«E allora? Ci siamo arrivati e lo sai che quel codice è nato solo per limitare la ricerca. Ma ora è preistoria» e ha spazzato via con la mano un paio di quei molluschi che si contorcevano sul tavolo. Un brutto gesto. Ero incapace di farmi ascoltare, tanto da mettere la testa tra le mani, in un tentativo stupido di fermarla, con i gomiti appoggiati al tavolo.
«Guardami Harrison. Se tu non mi concedi i laboratori per altri sei mesi, io andrò a fare quello che devo fare da un’altra parte» Eravamo arrivati al punto, lo sapevamo tutti e due e l’ho guardato negli occhi.
«Gli articoli sulla generazione cellulare, che ho pubblicato, sono stati apprezzati dalla comunità scientifica, molto e lo sai.»
«Lo so.» Ed era vero.
«Ci sono migliaia di ricercatori nel mondo che si aspettano che io vada avanti su questa strada. E saprai anche che ho ricevuto offerte da numerosi istituti.»
«So anche questo.» Mi sentivo sfinito.
«E allora decidi ora da che parte stare. Superiamo insieme questa porta. Come sempre insieme. Possiamo generare un nuovo essere, completo. Una creatura generata dall’uomo per l’uomo. Con delle funzioni innovative. Su cui completare la sperimentazione per plasmare razze animali con organi perfetti.»
La testa mi faceva così male che la sentivo pulsare mentre parlava. Ripensai alla lunga notte passata a distruggere i suoi appunti e cercare sul suo computer i file con i risultati ottenuti. Sicuramente non si era ancora accorto di nulla. Come io non avevo capito il punto in cui era arrivato con il suo lavoro, prima di aver letto tutti quei documenti. Sentivo di essere il suo ultimo ostacolo. Conoscevo Bradley da anni e sapevo che non avrebbe mollato e anch’io, come lui, mi sentivo costretto ad andare avanti. Per un’altra strada.
«Non puoi giocare a fare il Creatore» gli ho detto, con un tono che avrei voluto più incisivo, guardandolo negli occhi. Ma non ci sono riuscito.
«E chi cazzo saresti tu per impedirmelo?» mi ha urlato in faccia.
Io allora ho fatto quello che non sarei mai voluto arrivare a fare. Ma a cui mi ero preparato. Ho estratto in silenzio, da sotto il camice, la mia pistola e gliel’ho puntata al viso. Mi ha guardato stupito. Non se l’aspettava e non ha fatto nulla, ma è durato tutto un istante, prima che gli sparassi.
La risposta alla sua ultima domanda l’ho data a me stesso, a bassa voce come un pensiero amaro, quando il suo sangue cominciava ad allargarsi sul tavolo, bagnando i molluschi che lo percorrevano e sentivo il rumore dei passi che stavano arrivando da fuori.
«L’anticristo.»
Molto bello. Davvero coinvolgente, bravissimo